martedì 5 dicembre 2023

HO LA PANCIA GONFIA


Lo sapevi che un italiano su due lamenta di avere spesso la pancia gonfia?

Ma che vuol dire avere la pancia gonfia? 


In realtà dietro questa frase che noi nutrizionisti ci sentiamo dire quotidianamente, c’è una sintomatologia molto variabile, che è associata a diversi tipi di disturbi e patologie. 


Avere la pancia gonfia non è infatti una condizione di normalità.

Se non puoi mangiare i legumi perché ti gonfiano da scoppiare, non è colpa dei legumi, è che il tuo intestino ha qualche problema. 

Se dopo che hai mangiato la pizza devi aprire la cerniera dei pantaloni e non riesci più a richiuderla, non è colpa della pizza, è che il tuo intestino ha qualche problema. 

Andiamo quindi a descrivere meglio i sintomi che rientrano nella descrizione “ho la pancia gonfia”.


😖  Sensazione di pienezza subito dopo mangiato, anche se non si è mangiato molto. E’ indipendente dal tipo di cibo che si mangia; è che mettendo cibo nello stomaco si ha subito la sensazione di pesantezza o peggio di eccessiva pienezza (mi sento scoppiare), spesso associata a doloretti o acidità. 

Spesso si hanno eruttazioni ripetute e quasi compulsive.

Il problema riguarda quindi lo stomaco, si tratta probabilmente di una dispepsia, ovvero una cattiva digestione intestinale. 


Essa può avere varie cause, tipo troppo poca produzione di acido, o di enzimi digestivi, oppure masticazione troppo scarsa a causa di problemi alla bocca, o anche a causa dello stress che promuove un modo di mangiare troppo veloce e compulsivo. 



Insomma, dietro una banale dispepsia c’è tutto un mondo di disfunzionalità da indagare, onde evitare che la cattiva digestione gastrica induca altri disturbi conseguenti.



😖 Il gonfiore peggiora durante la giornata, si passa dalla pancia piatta del mattino ad una specie di palloncino la sera, che impedisce completamente di chiudere in alcun modo la cerniera dei pantaloni. 

Questo gonfiore è associato a sensazione di peso al basso ventre, spesso anche a flatulenze frequenti che possono essere maleodoranti (disbiosi putrefattiva) o poco o niente odorose (disbiosi fermentative).


Può essere associato ad alcuni alimenti in particolare, che variano da persona a persona a seconda del tipo di problema che sta dietro questa disbiosi. 

La maggior parte dei pazienti gonfiano in seguito ad assunzione di farinacei  (pane pizze biscotti pasta ecc). 

Questa è quasi sempre la classica disbiosi fermentativa, sviluppatasi solitamente a seguito di abusi di questi alimenti oltre la reale capacità della loro corretta digestione. 


Tali alimenti peraltro contengono spesso notevole quantità di glutine, che se assunto con quotidiana frequenza in dosi elevate può condurre a infiammazione della mucosa del tenue, e di conseguenza a malassorbimento nonché a proliferazione eccessiva dei ceppi batterici fermentanti.

Sono anche alimenti lievitati, che spesso sono poco lievitati (lievitazione troppo veloce), cosa che va a peggiorare lo stato di disbiosi. 


😖  Sensazione di pesantezza, gonfiore, fastidio, associata a crampi, dolori al basso ventre, dolori lombari. 

Spesso la situazione deve risolversi velocemente con una evacuazione che a volte è faticosa e a volte più o meno diarroica.


Questa sintomatologia è molto spesso associata a stress prolungato, con conseguente somatizzazione in posture emotive che irrigidiscono il diaframma, con ripercussione su altri muscoli posturali del collo e del tronco. 

Questa condizione si ripercuote quindi sugli altri organi interni della digestione, scombinando il buon andamento della stessa. 



👀   Tutti questi sintomi sono campanelli d’allarme che dovresti ascoltare, perché ti danno informazioni sul tipo di errori che sta commettendo o di problemi che ti hanno disturbato.


Queste informazioni sono un po’ criptate, è vero, e a volte anche per noi nutrizionisti è difficile interpretarle. 

In realtà ci vuole un po’ di pazienza, ma le cose possono risolversi o almeno migliorare assai. 


😇   Come fare? 

Se anche tu “hai la pancia gonfia” prendi nota accuratamente per un periodo di alcune settimane di tutti i tuoi sintomi: quando compare il gonfiore, in seguito a quali alimenti introdotti, che tipo di gonfiore, se è associato ad altri disturbi, ecc. 

Scrivi tutto ciò in un foglio.

Quindi parlane con il tuo nutrizionista. 




mercoledì 22 novembre 2023

ANCHE LA DIETA CURA LA DEPRESSIONE


Già… depressione… la malattia delle società di tipo occidentale: urbanizzazione spinta, stress da competizione, rumore, fretta, troppi stimoli e poca riflessione, sedentarietà, rapporti interpersonali sempre più scarsi e difficili… e ci aggiungiamo anche l’alimentazione sbagliata.


La depressione risulta essere oggi una delle principali cause della disabilità globale; circa 264 milioni di individui ne soffrono in tutto il mondo, soprattutto nei paesi fortemente tecnologicizzati.

E’ un fattore scatenante di molte malattie spesso gravi, croniche e invalidanti. 

Ed è molto difficile curarla, in molti casi purtroppo ha un decorso irreversibile.


Stamattina mi è capitato sott’occhio in articolo scientifico del 2022 che ha questo titolo “Depressione: è curabile negli adulti che utilizzano interventi dietetici? Una revisione sistemica di studi randomizzati e controllati” di Simon O’Neil et al. (Università di Canberra, Australia).


Che hanno fatto questi scienziati? Hanno selezionato degli studi fatti da colleghi su pazienti ai quali era stata assegnata una dieta sana non per dimagrire ma perché affetti da patologie varie.  E in tutti questi studi veniva presa in considerazione anche la depressione, dato che spesso è associata a molte malattie. 

Ed era proprio questo dato che interessata al nostro Simon O’Neil e ai suoi collaboratori. 


Nel loro insieme questi studi vedono coinvolti 49.156 pazienti. 

E il risultato è chiaro: il miglioramento della dieta ha portato anche a un miglioramento della patologia depressiva. 

Il fattore che lega la cattiva alimentazione alla depressione pare sia l’infiammazione. 

E’ noto infatti che il tipo di alimentazione che ha preso piede nei paesi più ricchi è fortemente infiammatoria, e infatti è legata all’aumento delle malattie infiammatorie croniche o causate da stati infiammatori cronici. 


Ma qual è questa “dieta sana” che ha portato miglioramento alla maggior parte dei 49.156 pazienti?

Semplice: una dieta in cui prevalgono i seguenti prodotti:

Vegetali freschi

Cereali integrali non raffinati

Latticini a basso contenuto di grassi (ovvero poco stagionati, tipo yogurt, ricotta, formaggi freschi)

Fonti proteiche varie fresche e magre (prodotti della pesca, carne magra, uova, legumi, semi)

Drastica diminuzione di cibi trasformati e ricchi in grassi

Quali sono i cibi trasformati e ricchi in grassi? Penserete ai salumi… certo, ma anche biscotti, dolci vari, gelati industriali (più grassi di quelli artigianali), cibi precotti e conservati.


N.B. Il cibo fresco è anche quello surgelato purchè… surgelato fresco e non lavorato!  Le verdure e  il pesce, se non lavorati, devono per forza essere congelati il più presto possibile dopo la raccolta o la pesca, pertanto sono considerati abbastanza simili al prodotto fresco, anzi a volte sono migliori di prodotti cosiddetti freschi ma sottoposti a trattamenti antiparassitari non corretti. 

Lo stesso vale per i prodotti non surgelati ma conservati mediante la catena del freddo, come ad esempio i latticini. 

Purtroppo però nel banco surgelati ci sono spesso prodotti estremamente lavorati, come primi piatti vari, sofficini, polpette, pesce cotto in vari modi, fritture, pizze, dolci, ravioli, salse, hamburger… 

Di tutti questi cibi non abbiamo certezza che siano stati preparati da prodotto fresco e senza additivi che ne migliorino la palatabilità, e sappiamo però che spesso la quantità di grassi è piuttosto elevata.


Resettate dunque la vostra alimentazione, e avrete la possibilità di sperimentare quanto si sta meglio con una dieta sana, con le caratteristiche individuate dai nostri Simon O’Neil et al. 

E la depressione si terrà lontana da voi. 



martedì 21 novembre 2023

VITAMINA C 

Ma perché è così importante?


Circa  2500 anni fa i Greci, che giravano il Mediterraneo  in lungo e in largo con le loro navi, si erano accorti che spesso i marinai venivano colpiti da una strana malattia che iniziava di solito con sanguinamento delle gengive, lividi emorragici sotto le unghie, stanchezza eccessiva e apatia, dolori forti alle articolazioni e ai muscoli, perdita dei denti, grave difficoltà a guarire le ferite. 

Capitava spesso che a causa di ferite anche di lieve entità (e in mancanza di antibiotici) sopravvenisse la morte per cancrena o emorragie. 

Questa misteriosa malattia funestò i lunghi viaggi in mare per parecchio tempo, come ad esempio la famosa circumnavigazione del portoghese Ferdinando Magellano.  

Partirono 5 navi da Siviglia il 10 Agosto del 1519, con un equipaggio di 234 uomini; ritornò a Siviglia una sola nave, la Vittoria, tre anni dopo, l’8 Settembre 1923, con un equipaggio di soli 18 uomini.  Altri 17 uomini si erano fortunosamente salvati perché catturati dai pirati alle isole di Capoverde, ancor prima di iniziare la traversata Atlantica. 

Anche Ferdinando fu tra le vittime, morto alle isole Filippine nell’Aprile del 1521, e sostituito nel comando dal suo uomo di fiducia, il Veneziano Antonio Pigafetta, che è l’autore del dettagliato diario di bordo.

Di questa decimazione fu responsabile in larga misura lo scòrbuto, questo è il nome della misteriosa malattia. 


Da molto tempo si sospettava che la causa dello scòrbuto fosse in qualche modo legata al tipo di alimentazione, praticamente priva di vegetali per lunghi periodi di navigazione che non prevedessero sbarchi intermedi sufficientemente ravvicinati. 

In assenza di frigoriferi e congelatori le derrate alimentari dei marinai erano fondamentalmente gallette e pesci o carni salate, oltre all’eventuale pescato. 

Ma non si sapeva quali vegetali e perché la loro assenza ammalasse gli uomini.

Da allora comunque si fecero diversi viaggi verso l’America, viaggi spesso narrati da interessanti diari di bordo. In diversi di questi diari si citava un particolare consiglio degli indigeni americani: portare con sé il tè al cedro per prevenire tale malattia, cosa che in effetti sembrava funzionare.

Arriviamo così al 1747 quando un medico della marina militare britannica decise di fare un esperimento a bordo della sua nave dove erano comparsi parecchi casi di scòrbuto. 

Si supponeva che fosse qualcosa di acido (come il cedro appunto) che agiva terapeuticamente, quindi individuò 12 pazienti e somministrò una dieta di base identica per tutti salvo le seguenti integrazioni: due di loro dovevano assumere del sidro, due acqua di mare, due un miscuglio di aglio sedano e rafano, due alcuni cucchiai di aceto, due un elisir di acido solforico (il vetriolo), e due un limone e due arance. 

Furono questi ultimi che guarirono.

Non sappiamo che fine abbiano fatto i due del vetriolo, ma probabilmente sarebbero morti comunque.

Ma tanto erano soldati… carne da macello.

Infatti la Marina Militare inglese aspetto ben quarant’anni prima di prendere sul serio questo esperimento che nella sua semplicità confermava quello che già si era intuito da molto tempo, che gli agrumi forniscono qualche elemento fondamentale per la salute umana.

Fu così individuato l’acido ascorbico (il nome tecnico della vitamina C … a-scorbico, senza scorbuto), e nel 1932 finalmente fu sintetizzato in laboratorio.

La tecnologia avanzata ha permesso di capire nel dettaglio cosa accadeva ai marinai deprivati di questo fattore, non presente nelle carni e nei pesci…  non si formava più nuovo collagene. 

Che cos’è il collagene? Bè, lo dice il nome, è un po’ come la colla che tiene assieme le nostre strutture, compatta i tessuti, lega le ossa, sostiene la pelle e i vasi sanguigni e tutte le strutture degli organi interni… E la vitamina C costituisce appunto un fattore indispensabile per la sua sintesi, per costruire questa lunga complessa molecola. 

Ma c’è un altro step fondamentale che si evince da questa storia: l’uomo, a differenza della maggior parte dei mammiferi, non può costruire da solo la vit. C ma la deve assumere dal cibo che la contiene. 

Inoltre, così come non ce la possiamo costruire da soli, non possiamo nemmeno accumularla se non per brevissimo tempo.  La Vit C infatti è una molecola idrosolubile che se presente in eccesso viene escreta normalmente dal rene. 

Per questo è importante cercare di assumerla frequentemente, meglio ogni giorno, mangiando in modo sano e vario. 

In realtà praticamente tutti i vegetali ne contengono in abbondanza, in particolare ne contengono grandi quantità l’acerola e la rosa canina, poi i peperoni di tutti i tipi, le verdure a foglia verde come rucola prezzemolo broccoli, cavoletti di bruxelles, tutti gli agrumi, e poi a scendere molti altri prodotti dell’orto. 

Nei giorni in cui non assumiamo frutta o verdure è bene integrarla… in modo naturale, ad esempio col limone, come facevano i marinai dopo Magellano, e come vi viene consigliato anche in Mosaico. 

Anzi ora che sta arrivando l’inverno potete utilizzare anche le arance, che ne hanno la medesima quantità. 

Una bella spremuta fatta e bevuta al momento è l’ideale, perché un altro difettaccio che ha questa vitamina è la sua estrema facilità ad ossidarsi (proprio perché è un potente riducente, ovvero un anti-ossidante) e quindi a perdere le sue strepitose funzioni.

Spremere, diluire con acqua, bere.

E gli integratori in capsule? Utili quando davvero ce n’è bisogno, in caso di anemia, stress, malattie da raffreddamento, stanchezza… 

Ricordiamo però che diversi studi hanno dimostrato che la stessa quantità di vit C contenuta in una tot quantità di limoni ( o di altro ortaggio o frutto) se assunta come integratore in capsule o polvere non ha la stessa efficacia.

Ci sono infatti teorie ancora in fase di studio che prospettano che in realtà la vitamina C sia una specie di famiglia di molecole, una delle quali, probabilmente proprio l’acido ascorbico,  sia la principale, e che ad essa siano associate alcune altre molecole che ne coadiuvano le funzioni. 

Insomma meglio gli agrumi e la rucola!

E per non farvi dimenticare della vostra spremuta quotidiana vi elenco quali sono gli altri interventi fondamentali dell’acido ascorbico, oltre la sintesi del collageno. 

1. Aumenta l’assorbimento del ferro

2. Rigenera la Vitamina E

3. Interviene nella trasformazione dopamina -> noradrenalina

4. Catabolizza la tiroxina

5. Sintesi degli acidi biliari

6. Sintesi degli ormoni steroidei

7. Metabolismo dell’acido folico

8. Diminuzione della formazione di nitrosamine intestinali

9. …….. …. …. 

Insomma l’avete capito, è sempre in mezzo come il prezzemolo…

Ecco a proposito… mangiate anche il prezzemolo che vi fa bene !


lunedì 13 novembre 2023

FIBRE PER LA SALUTE DELL’INTESTINO

parte terza: SEMI DI LINO


Costano pochissimo, si trovano persino nei discount, facili da utilizzare e sono una miniera di benefici per la tua salute.


Come tutti i semi che si rispettino anche quelli di lino vedono nella loro composizione in nutrienti una prevalenza di grassi polinsaturi, tra i quali gli omega tre sono molto ben rappresentati.

Ricordo che gli omega tre e gli omega sei sono considerati vitamine, ovvero nutrienti indispensabili che devono essere introdotti col cibo in quanto non abbiamo la possibilità di costruirceli da soli.


Un’altra ricchezza di questi semi sono i minerali, in special modo Magnesio e Potassio.

Seguono proteine, e una piccola quantità di zuccheri complessi.


Sono note fin dall’antichità le loro proprietà emollienti e antinfiammatorie, infatti venivano usati come decotti, infusi e cataplasmi per varie problematiche.

Oggi siamo molto interessati a due loro caratteristiche, la ricchezza in omega tre e l’abbondanza di mucillagini, che sono appunto fibre solubili, importante rimedio per tutti i problemi intestinali, a partire dalla stipsi fino a gonfiori, disbiosi, coliti croniche.


Come usarli?

1. Macinati.

Non comprateli già macinati perché i preziosi olii polinsaturi che contengono sono molto delicati e si ossidano facilmente, irrancidendosi.

Meglio acquistarli interi e poi a casa metterne una manciata nel mixer, frullarli un attimo per romperli bene e conservarli in frigo ben chiusi, cercando di usarli entro una decina di giorni.


Si utilizzano mettendone un cucchiaio scarso in uno yogurt, o in una minestra, o sull’insalata, oppure sparsi sul pesce già cotto.

NB i semi non vanno cotti.

Questa modalità è adatta soprattutto all’utilizzo degli omega tre e degli altri polinsaturi.


2. Decotto.

Mettete un cucchiaio scarso di semi in una tazza di acqua e fate bollire per un paio di minuti.

Lasciate intiepidire e poi colate, buttando via i semi e mantenendo l’acqua di cottura, che sarà vischiosa per la ricchezza di mucillagine.

Bevete tutta l’acqua prima di ogni pasto se avete problemi di stipsi ostinata, oppure solo prima del pasto serale se la stipsi è meno severa.


Un altro vantaggio di questa bevanda, se assunta prima del pasto, è la sua capacità di rallentare l’assorbimento intestinale, diminuendo quindi i picchi glicemici (ottimo per i diabetici di tipo 2) e anche per avere meno appetito tra un pasto e l’altro.

Inoltre si avrà un maggiore riempimento dello stomaco con aumento del senso di sazietà.


Analoghi ai semi di lino sono i semi di chia, che si usano allo stesso modo.

Anche se invece del decotto si possono semplicemente lasciare a mollo nell’acqua perché rilascino facilmente la mucillagine.

Anche i semi di lino la rilasciano se messi a mollo, ma occorre un tempo di almeno una nottata.


FIBRE PER LA SALUTE DELL’INTESTINO

parte seconda:  LA MALVA


C’era una volta, tanto tanto tempo fa che sembra un secolo ma ancora non lo è, prima del Gaviscon, prima dell’Enterogermina, prima del Buscopan, prima che le farmacie fossero dietro l’angolo e prima che il medico prescrivesse i farmaci per telefono, prima che i pronto soccorsi si intasassero di codici verdi, … ecco a quei tempi c’era una umile piantina spontanea, che in tutte le zone temperate e quindi praticamente in tutta Italia cresceva spontanea nei prati, ai bordi dei fossi e a lato dei sentieri. 


Una piantina i cui delicati fiorellini hanno dato nome ad un colore, il color malva. 


Sempre in quei tempi le farmacie erano spesso gestite dai frati, provetti erboristi un po’ medici un po’ psicologi, e ancora oggi ci sono farmacie che ancora si chiamano così, “farmacia dei frati” anche se il frate dentro non c’è più. 


Veramente a Genova miracolosamente se n’è salvata una, corredata di Frate erborista, che però si trova imbriccata sulle alture in posizione facile da raggiungere per le aquile, mentre per noi umani è stato costruito un apposito ascensore che dal centro città si infila nella roccia e sbuca praticamente nella farmacia. 


Le farmacie dei frati erano dotate di varie erbe opportunamente essiccate e conservate in bei barattoli di vetro allineati negli scaffali di legno scuro, e tra quelle erbe la malva era regina.  


L’umile pianticella esiste ancora, persino in città, magari nelle periferie che sbordano nella campagna;  più difficile è trovarla in farmacia ed erboristeria se non in forma di polvere inserita in una bustina-filtro, ahimè…


Io però vi consiglio di cercare la pianta, la pianta fresca, che potete facilmente trovare se abitate vicino ad un po’ di verde;  o la pianticella in vaso che potete ordinare ad un vivaista e tenere in terrazzo o in giardino. Ma sicuramente troverete qualche erborista nostalgico che possiede ancora i barattoli di vetro negli scaffali di legno scuro, e avrà sia quello con i fiori di malva, che quello con le foglie di malva, e anche quello con le radici. 


La pianticella infatti è tutta edibile. 

Ma dato che siamo in argomento intestino ci occuperemo delle foglie. 

Stiamo parlando di una foglia ricca di mucillagine e fibra solubile, quindi le sue proprietà (quelle della mucillagine) sono le stesse di quelle dello Psillio e vi basta andare a rileggere il post di ieri.  


Ma la malva è ancora più interessante dello Psillio, dal momento che è dotata di più intense proprietà antinfiammatorie. Inoltre il suo uso è molto più “simpatico”. 


Se nelle vostre passeggiate riuscite a raccoglierne una decina di foglie (o più, se sono ancora piccole) potreste farci una deliziosa frittatina per la vostra colazione o per cena. 


Quando mosaico vi prescrive un paio di uova, se avete la malva potete decidere di sbatterle un po’ con la frusta e aggiungere le foglie di malva tagliare a striscioline. Origano o timo o maggiorana possono completare l’opera e una frittatina è pronta in un attimo. 

Ricca di minerali e di vitamina A, bastano poche foglie per dare un valore nutrizionale maggiore al vostro semplice piatto. 


Ma l’uso più interessante della malva è la tisana.   Di sapore gradevolissimo, specie se avrete aggiunto magari una prugna secca o un fico secco.   Il vostro intestino ringrazierà.    Ma anche il vostro stomaco se soffrite di bruciori, o di altri accidenti come ernie iatali e reflussi. 


Si prepara con  un paio di foglie fresche o un cucchiaino di quelle secche, si fa sobbolire per circa tre minuti, intiepidire e sorseggiarla prima che si raffreddi. 


La stessa tisana aiuta a guarire raffreddori e bronchiti. 


Se volete far prevalere l’effetto anti-infiammatorio fate il decotto con i fiori di malva, mettendoli direttamente in acqua bollente e lasciandoveli in infusione a fuoco spento per una diecina di minuti. Anch’essi vi stupiranno per il loro sapore gradevolissimo. 


Prendetevi cura di voi col cibo e le piante, farete felice anche il vostro medico, che è oberato di lavoro perché ci rivolgiamo a lui per ogni problema che potremmo risolvere anche senza il suo aiuto, specialmente se intervenissimo sui primi sintomi, non quando ci siamo già ridotti ai minimi termini. 


Ma soprattutto, queste cure vanno attuate come PREVENZIONE PRIMARIA.  

Le fibre, ancorchè per curare stipsi infiammazioni gonfiori e disbiosi, vanno assunte soprattutto quando siamo sani, prima che i disturbi insorgano. 


Gli allarmi non dovrebbero essere le malattie o i disturbi, ma cose del tipo “sono sempre un po’ stanco” “non dormo bene la notte”    “mi sento stressato”   faccio vita troppo sedentaria, dovrei muovermi”   “mangio poca frutta e verdure e troppe pizze”… … … 

Ecco queste consapevolezze non lasciatevele sfuggire.


FIBRE PER LA SALUTE DELL’INTESTINO

parte prima: LO PSILLIO


Vi piace la fantascienza? 

Sì? Bene…


Allora immaginate un popolo alieno, multiforme, multilingue, multicolore; un popolo un po’ anarchico dove ciascuno decide per se (e Dio per tutti!); un popolo che segue non la legge del più forte ma quella del più svelto, il più svelto a trovare cibo, il più svelto a prolificare, il più svelto a distruggere l’avversario. 


Un popolo aggressivo ma democratico: c’è posto per tutti, e sono tanti eh… circa diecimila miliardi! 

E noi Homo sapiens che già stiamo stretti sul pianeta in meno di 10 miliardi… 


E non solo, sono divisi in sottopopolazioni assai diverse tra loro, pare che siano da 500.000 a un milione di tipologie diverse, con diete diverse…. 


Bè ma questo, direte, succede anche in Italia, che ogni regione… che dico ogni provincia… che dico ogni comune… che dico ogni quartiere ha una sua ricetta specifica con un ingrediente segreto…. Se veniste qui a Genova e chiedeste la ricetta del vero pesto genovese potreste sentirvi dire che tanto per cominciare ci vuole il basilico di Pra…. E voi potreste crederci, ignari che da parecchi decenni Pra è un quartiere super-urbanizzato dove il basilico non si coltiva nemmeno più sul balcone.  


Ma torniamo al nostro popolo. 

Diversamente da noi che occupiamo un simpatico globo terracqueo, quest’altro popolo vive in un mondo a forma di tubo.


E questi miliardi e miliardi di individui si trovano in una situazione tipo Matrix… loro credono di essere individui liberi, ma non sanno di essere racchiusi in una realtà che non gli appartiene, una realtà dove qualcun altro, un “deus ex machina” chiamato Homo sapiens, decide per loro. 


Signore e signori lo avrete già indovinato, quel popolo si chiama Microbiota, vive dentro di noi, rappresentando più di un kg del nostro peso, e si nutre dello stesso cibo che noi mangiamo. 


E per ricambiarci il favore di dargli vitto e alloggio, ci dà un valido aiuto nei processi digestivi, in quelli emuntori (eliminazione dei tossici), e ci costruisce pure alcune molecole che noi non siamo in grado di autoprodurre. 

Ad esempio la vitamina K, fondamentale nei processi di coagulazione e nella funzionalità ossea, e gli acidi grassi a catena corta, praticamente introvabili nei cibi tranne che nel burro, che hanno un ruolo fondamentale nei processi anti-infiammatori.


Inoltre si occupa di trasformare, riciclare e compattare i nostri rifiuti, e sospingerli al di fuori di noi.  Insomma una vera e propria isola ecologica.


E’ una popolazione, come si dice, “di buona bocca”… mangiano qualsiasi cosa, perché c’è sempre qualche sottopolazione che è in grado di utilizzare qualsiasi porcheria, anche se a dire il vero moltissimi di loro preferiscono i carboidrati. 

Ah sì, quelli piacciono sempre, non solo a noi umani.


Ma carboidrati, come sapete, ce ne sono di tante versioni. 

Le loro preferite sono le fibre, specie quelle solubili. Quando arrivano quelle, organizzano festini e apericene. 


Oh, anche loro brontolano che non c’è più il cibo di una volta, che fino a cinquant’anni fa di fibre ne arrivavano come se piovesse, oggi un po’ di crusca se va bene, che poi gratta le pareti che si infiammano e lì dentro non si fa più vita.



Insomma, vogliamo farlo contento questo popolo Microbiota e regalargli un po’ di cibo come si deve?


Cominciamo dallo PSILLIO


Si intende per Psillio una pianta erbacea diffusa più o meno in tutto il mondo, la Plantago psyllium, dalla quale si ricavano i semi. 

I semi sono molto ricchi di una fibra solubile detta mucillagine, che è un carboidrato per noi indigeribile e metabolicamente non utilizzabile, e hanno proprietà emollienti, lenitive, depurative e blandamente lassative. 


Come funziona? 

A contato con l’acqua i semi si aprono, le mucillagini assorbono molta acqua (fino a 50 volte il loro peso) e quindi aumentano di volume. Si produce così un gel che si mescola con il contenuto intestinale, mantenendolo idratato, morbido e leggermente lubrificato. 

La funzione lassativa è quindi di tipo meccanico. 


Inoltre questo gel diminuisce o rallenta l’assorbimento di zuccheri e grassi, svolgendo quindi una funzione antidiabetica.


Ma la sua proprietà più significativa è quella di nutrire specificamente le popolazioni batteriche più utili a noi, le quali poi con la loro attività miglioreranno la nostra salute attivando processi antiinfiammatori, emuntori, regolatori. 


Alcuni studi scientifici hanno messo in relazione l'assunzione di psillio con un aumento del colesterolo buono e una diminuzione di quello cattivo, nonché una riduzione dei trigliceridi ematici. 


Se assunto poco prima di pranzo contribuisce a migliorare il senso di sazietà. 

Diminuisce i disturbi della colite e anche della gastrite. 


Dove si compra lo Psillio?


In farmacia, in erboristeria, in negozi specializzati tipo Natura Sì, su Amazon e Ebay.

Su Amazon ho visto anche le bucce di Psillio, anziché i semi, altrettanto valide per la funzione lassativa e regolatrice. 


Occhio ai prezzi perché certi marchi possono costare anche tantissimo e non si sa perché, dato che lo Psillio non ha un brevetto. Guardatevi prima i prezzi su Amazon, così per farvi una idea. 


Come si usa? E quanto?


La dose consigliata è da 10 a 25 grammi al giorno, eventualmente suddivisa in due o tre assunzioni. 


Meglio la mattina e subito prima del pasto di mezzogiorno.

I semi si possono mettere semplicemente in un po’ di acqua e ingerirli, però deve seguire subito un altro bel bicchierone di acqua, magari bevuto con calma in più riprese, non trangugiato.


Meglio ancora acqua tiepida con un pochino di limone.


Meglio meglio ancora ancora (!!!)  prima di ingerirli lasciarli ammollare in acqua tiepida in modo che siano già in parte gonfiati. 

Si possono tranquillamente aggiungere ai cibi, esempio nello yogurt o in un frullato.  


Controindicazioni.

Nessuna controindicazione importante, ma attenzione che è pur sempre fibra, e se avete una brutta colite o il morbo di Crohn andateci piano: piccole dosi magari a giorni alterni, facendo attenzione a bere, perché le fibre possono anche irritare se sono troppe, anche quando sono fibre solubili.


Inoltre, come tutte le fibre, rallentando l’assorbimento potrebbero interferire con alcuni farmaci presi per bocca. 

Se si tratta di un uso sporadico ovviamente non è un problema, ma se volete farne un uso più continuativo chiedete il parere del vostro medico. 


IMPORTANTE. Non usate né lo Psillio né alcuna altra fibra per risolvere un bocco intestinale anche solo di due o tre giorni. Peggiorereste la cosa. Lì ci vuole un bel purgone, liberare l’intestino, e POI usare la fibra per prevenire il rallentamento e il blocco. 


E anche stasera siamo finiti nella c… ops … dalle stelle alle stalle…

Ma sapete che per una buona economia bisogna controllare sia le entrate che le uscite!


FRUTTO D'AUTUNNO


Son piccina rotondetta

son dolcigna, son moretta,

son di razza montanina,

dell’autunno son regina,

son dei bimbi la cuccagna

e mi chiamo la…

Castagna


L’autunno è arrivato e ci ha portato i suoi frutti invernali, tra i quali la castagna.


Un tempo, quando la gente aveva bisogno di energia, di calorie, la castagna era la benvenuta, un bene prezioso per sfamare la famiglia senza spendere nulla perché le castagne le regalava il bosco,  e anche la legna secca per il fuoco, e le castagne potevano essere arrostite o bollite, ma anche seccate e ridotte in farina, e in diversi modi partecipavano alla gastronomia familiare. 


Il suo sapore era ben gradito ai piccoli, che non erano avezzi al consumo di dolci se non nei giorni festivi, dato che lo zucchero era un bene costoso. 


Oggi, insieme ai legumi, suoi fratelli di sventura, la castagna è caduta in disgrazia perché ritenuta troppo calorica, ed accusata di causare gonfiori di pancia e flatulenze. Proprio come i legumi. 


E’ vero che non abbiamo più le pance di una volta, abituate a cibi integrali ricchi di fibre… le coliti imperversano… ma è anche vero che non cuociamo più gli alimenti come venivano cotti una volta….. come?  …. A lungo. 


Un tempo legumi e castagne ma anche le patate venivano cotti nelle terrecotte lasciandole a lungo nelle braci, magari tutta la notte.   Alla fine le fibre, le preziose fibre di questi alimenti erano morbide e digeribili,  andavano a nutrire il microbiota intestinale e le flatulenze erano caratteristica solo di chi ne aveva fatto scorpacciate. 


Tornando alle castagne, come si utilizzano allora? Posto che le caldarroste in città non le possiamo fare sul terrazzo di casa, ci limiteremo alle “ballotte”, le castagne lesse.   


La ricetta è semplice. 

Prima di cuocerle mettetele a bagno in una catinella d’acqua e togliete quelle che galleggiano, perché saranno secche o bacate. 

Quindi mettetele in una pentola ben coperte dall’acqua alla quale avrete aggiunto eventualmente qualche foglia di alloro e un pizzico di semi di finocchio, e un bel cucchiaio di olio, che favorirà il processo della sbucciatura una volta cotte.

Cuocete un’oretta, a fiamma bassa, poi scolatele e appena non scottano più sbucciatele.

Possono essere cotte anche in pentola a pressione, come faccio io, dimezzando il tempo di cottura. 


Se non avete voglia o tempo di cuocerle in casa, potete utilizzare quelle in bustina che si trovano ormai in tutti i supermercati, semplicemente castagne sbucciate e pelate, cotte a vapore e conservate in busta sigillata entro la quale c’è un’atmosfera modificata. 


Non spaventatevi per l’atmosfera modificata, si tratta sempre di gas assolutamente innocui, di solito azoto, che è un gas inerte che impedisce i processi di ossidazione, oppure l’anidride carbonica, che impedisce lo sviluppo di flora batterica e fungina. 

Ricordo che l’azoto, molto utilizzato oggi nella conservazione di frutta e verdure, è il principale gas presente in atmosfera, dove rappresenta il 78,1%. 


Avrete quindi a disposizione un alimento che contiene carboidrati complessi, il cui indice glicemico (circa 60 da cotto) è inferiore a quello dei farinacei, e il cui apporto di nutrienti è certamente più interessante di quello dei cereali: potassio, rame, vitamina C, piridossina, fosforo, acido folico, ma anche proteine e, soprattutto, fibra, tanta fibra, parecchia della quale solubile, quindi prebiotica.


Favorisce il transito intestinale (sempre se è ben cotta! E magari anche masticata!). Ci riabitua al sapore dolce naturale, non artefatto da zuccheri e dolcificanti aggiunti. 


Ma la castagna ingrassa!

Per fare un paragone, una decina di castagne cotte equivale, per l’apporto di carboidrati, a tre fette biscottate con un cucchiaino di marmellata ciascuna.

Insomma non fatene scorpacciate...


SE PERÒ IN CASA AVETE DEI BIMBI O DEI RAGAZZINI ancora vergini dalle coliti, provate a fargli scoprire il sapore della castagna. Magari portateli alla sagra delle caldarroste… Vuoi mai che qualcuno la apprezzi più delle patatine chips?

Perché da qualche parte dobbiamo pur cominciare a riprenderci la nostra salute. Per esempio educando i nostri bimbi a mangiare cibi e non veleni. 


DOTT….. QUANTE UOVA POSSO MANGIARE A SETTIMANA?


Quante ne vuole.

Come sarebbe…??? Il medico mi aveva detto quattro al massimo…. Per il colesterolo….

Si tratta di una linea guida ormai in disuso.

Molti studi scientifici, già diversi anni fa, hanno dimostrato che le uova non sono responsabili dell’aumento dei valori di colesterolo totale, anzi contribuiscono all’aumento del colesterolo HDL (buono) rispetto all’LDL (cattivo).


Il contenuto di grassi di DUE UOVA è di circa 8,7 grammi, dei quali il colesterolo è una piccola parte: solo 0,370 grammi.

Il restante contenuto lipidico è dovuto a grassi sia saturi che monoinsaturi che polinsaturi, tra i quali ultimi anche gli alfa linolenico e linoleico.


Ovviamente i grassi sono contenuti nel tuorlo, il quale contiene anche una buona quantità di lecitina, che si lega ai grassi migliorandone il loro assorbimento e utilizzo.


Il tuorlo è ricchissimo di vitamine liposolubili, la vit A, la vit D, la vit B6 e la B12, tutte di fondamentale importanza per la nostra salute.

Buone le quantità di Ferro, Potassio, Magnesio.


Ottima la qualità delle proteine dell’uovo, che si trovano in parte nel tuorlo e in gran parte nell’albume. Irrisoria invece la quantità di carboidrati.

In due uova poco più di un grammo. Certamente non alzano i livelli di insulina!!!


Inoltre le proteine dell’uovo risultano decisamente più digeribili di quelle della carne.


Per utilizzare al meglio le straordinarie proprietà nutrizionali delle uova, è meglio cuocerle con attenzione, in modo che il tuorlo, che contiene grassi e quindi è più danneggiato dalle alte temperature, non sia troppo cotto.

L’ideale sarebbe non superare i sei minuti di cottura.

In tal modo è anche molto più digeribile.


L’albume invece risulta più digeribile quando è coagulato, ovvero è diventato bianco.

Nella foto vedete come si presenta l’uovo in relazione ai minuti di cottura.


Per sgusciare facilmente le uova lesse, basta un piccolo accorgimento: mettete nell’acqua mezzo cucchiaino di sale e magari un cucchiaino di aceto per evitare lo spiacevole odore che le uova lasciano sulle stoviglie.

Solo quando l’acqua bolle immergete le uova con delicatezza, aiutandovi con un mestolo, quindi abbassate un po’ la fiamma perché non sbattacchino tra loro e si rompano prima che l’albume sia coagulato.

A fine cottura raffreddatele sotto l’acqua e sgusciatele.


L’uovo è, come il latte e i semi, un alimento quasi completo e di straordinaria ricchezza. Non a caso tutti e tre questi alimenti servono….. a far crescere un nuovo individuo: il latte per i mammiferi, le uova per gli altri animali, i semi per le piante.

Meravigliosa natura.


MECCANISMI DELLA SAZIETA’ 



Si dice che ogni cosa ha più valore se l’abbiamo pensata, attesa, desiderata. 

Vale anche per il cibo.

L’aumento vertiginoso dei disturbi del comportamento alimentare (iperfagia, binge eating, bulimia) ha dato l’avvio a moltissimi studi che riguardano la sazietà. 

Perdiamo il controllo della nostra sazietà. 


Pare che uno dei motivi (uno, ma ce ne sono altri) per cui tendiamo ad ingrassare, e poi a faticare per dimagrire, sia la fretta, lo stress, la compulsività con cui ci accostiamo al cibo.


Ci accostiamo al cibo senza rispetto, senza consapevolezza. 

Compriamo quasi sempre in grandi supermercati dove ci sono migliaia di prodotti, ogni prodotto si presenta in molte varietà, ogni varietà con confezioni diverse a seconda del marchio; variano forme e colori e formati ma alla fine il contenuto è quasi sempre uguale: per la stragrande maggioranza si tratta di farine di cereali mescolata ad alcuni altri ingredienti solitamente ridotti in polveri (uova in polvere, latte in polvere, fibre in polvere) a formare una infinità di cibi dall’identico scarsissimo valore nutrizionale, dall’altissimo valore calorico, dalla totale inadeguatezza alla nostra fisiologia. 


Carni salumi formaggi già confezionati in inopportune vaschette di plastica, niente odori, niente consigli del macellaio o del salumiere di fiducia, idem per frutta e verdura, non si può toccare (e ci può stare, se tutti tocchiamo…) ma un tempo c’era il fruttivendolo che la toccava per noi, ci faceva sentire il profumo, a volte ci faceva assaggiare una fragola o la fettina di anguria per farci assaporare la dolcezza del frutto… vabbè non vado avanti perché mi viene la malinconia. 


Ma è proprio inevitabile tutto ciò? Certo che no, ancora esiste il salumiere, il verduraio, il macellaio, il pollivendolo, il trippaio, il pescivendolo, la “casa del formaggio”, la cioccolateria con un numero incredibile di varietà di cacao, la drogheria con i sacchi colmi di farine e risi dai bei colori tenui e di legumi dai colori del bosco, la tisaneria con mensole fitte di grossi barattoli in vetro (le arbanelle per noi liguri) piene di profumati miscugli, di the esotici, erbe medicinali)….


Eh… ma è più veloce andare al supermercato… 

Ma veloce per cosa? Come impieghiamo il tempo risparmiato nel fare la spesa al supermercato? Per scrollare Tik Tok? 

E quante cose inutili in più acquistiamo in questa modalità? E quante ne sprechiamo?


Lo slow food è questo: pensare il cibo, non comprarlo solo perché ci è passato sotto il naso mentre procedevamo col carrello in cerca di idee.

Lo slow food ti abitua a mangiare meno e meglio. Forse i prodotti costano un tantino in più ma alla fine spendi meno. 

Risparmiamo sulla candeggina non sul cibo. 


La ricchezza non è il denaro ma il tempo: quando abbiamo qualche minuto di noia, invece di prendere subito lo smartphone, concediamoci il tempo di pensare a cosa preparare per cena, e mentre rientriamo a casa passiamo a prendere quello che ci occorre. 


Dedichiamo magari meno tempo per andare all’outlet ad acquistare un altro capo di vestiario solo perché in saldo, che poi magari indosseremo una volta o due, e dedichiamo più tempo a scoprire nella nostra città i meravigliosi negozi alimentari tradizionali e specializzati, che ci offrono prodotti di qualità e la consulenza di chi se ne intende. 


Abbiamo la fortuna di conservare almeno in parte questo patrimonio; una mia amica francese mi racconta che il suo paese lo ha quasi totalmente perso a favore di giganteschi supermercati.

Per me fare shopping è farmi un giro al “Mercato Orientale” (orientale perché situato al centro-est di Genova). Nella foto due delle mie bancarelle preferite. 

La mia città per fortuna è piena di mercati, ma sono sicura che lo sono anche le vostre città, specie quelle del sud che io adoro (che dire della Vucciria di Palermo?). 

Poi fuori città ci sono le sagre, dei funghi, delle castagne, della nocciola, delle ciliegie, del miele, di tutto e di più. 


Comprate cibo vero, non artefatti. Cibo dei vostri luoghi.

Preparate in casa il vostro cibo. 

Non c’è bisogno di perdere tanto tempo; il giusto tempo per cibi semplici e gustosi, mangiati con calma, a tavola, assaporandoli, ed essendo grati per i loro doni. 

Non arrendetevi al cibo plastificato, insapore, inodore, inutile soprattutto. Anzi dannoso.

E come per magia vedrete che la vostra alimentazione sarà meno frettolosa, meno compulsiva, più appagante e quindi più saziante.


MA A COSA CI FA DI MALE QUESTA INSULINA?


Siamo nell’ormai lontano 1923.

Due medici Canadesi, F.G. Banting e C.H. Best, vengono insigniti del Premio Nobel per la medicina. Esattamente due anni prima avevano fatto qualcosa di straordinario: erano riusciti ad isolare una molecola che sarebbe stata in seguito uno dei più importanti salvavita in dotazione alla medicina: l’insulina.

Già, perché il diabetico …. senza insulina muore….


Nel 1922 la nuova molecola era stata testata per la prima volta in un ospedale a Toronto su di un ragazzo, Leonard Thompson, che stava morendo di diabete. Fu un’esperienza esaltante: meno di 24 ore dopo i livelli di glicemia del ragazzo erano normali!


Per alcuni decenni l’insulina venne ricavata estraendola dal pancreas bovino.

Era ovviamente un procedimento molto costoso, e a quei tempi in cui l’assistenza sanitaria non era completamente gratuita nemmeno per i trattamenti salvavita… il diabetico era un malato costoso per la famiglia.


Fu solo nel 1978 che si riuscì ad ottenere la prima insulina umana di sintesi, grazie ad una tecnica sofisticata, la ricombinazione genetica.


Da allora sono i batteri a produrre per noi l’insulina, con grande beneficio non solo economico ma anche clinico, dato che l’insulina sintetica è molto più pura di quella estratta da animali, evitando quindi tutta una serie di effetti collaterali, primo tra i quali le allergie.


Oggi però si parla spesso di insulina come di una molecola ambigua, dalla doppia faccia; se da una parte è indispensabile per poter utilizzare il glucosio, il nostro carburante, dall’altra è portatrice di una montagna di effetti collaterali spiacevoli.


Ma attenzione!

L’insulina pericolosa non è quella “medicinale” che viene attentamente e oggi molto precisamente dosata per le reali necessità del paziente diabetico.

Quella dannosa è la nostra, quella che produce il nostro stesso pancreas.


Da quel 1923 ad oggi l’alimentazione umana nei paesi più o meno industrializzati è cambiata in modo radicale , e tanto peggiore è stato il cambiamento quanto più la grande industria e la grande distribuzione si sono appropriati del nostro cibo.


E ricordiamo che noi italiani siamo ancora tra i… “meno peggio”… grazie alle nostre solidissime e tanto protette tradizioni gastronomiche.


Tali cambiamenti hanno spostato la nostra alimentazione verso un consumo di carboidrati davvero molto più elevato rispetto a quei tempi, ma soprattutto verso un tipo di lavorazione dei cereali estremamente critico per il nostro metabolismo glucidico.


Ovviamente questa vagonata di carboidrati che ingeriamo verrà trasformata in una vagonata di glucosio, che richiede al pancreas di produrre una vagonata di insulina.


Bè… tutto bene, si potrebbe pensare, più glucosio, più insulina che fa entrare il glucosio nelle cellule.

Tutto a posto quindi.

Tutto a posto e niente in ordine però…

Qual è il problema?


Il problema è che la condizione di iper-insulinemia provoca una serie di modificazioni metaboliche soprattutto di tipo ormonale che sono alla lunga traducibili in vere e proprie patologie spesso gravi.


Questo perverso meccanismo di azione passa soprattutto attraverso la famosa “resistenza all’insulina”.

Quando le molecole di insulina sono in grande eccesso, i recettori dell’insulina posti sulla superficie di tutte le nostre cellule, tendono a desensibilizzarsi, ovvero diminuisce la loro capacità di legame con la molecola di insulina.


Questo fatto però non passa inosservato al nostro “medico interno”, ovvero alla nostra intrinseca capacità di riparare i danni, di ripristinare l’equilibrio.

Ora, tutti questi aggiustamenti sarebbero utili e non dannosi se fossero eventi sporadici. Una iper-insulinemia ogni tanto sarebbe accettabile.


Ma la desensibilizzazione del recettore crea uno stato di iperglicemia continuo.

Questa serie di aggiustamenti metabolici porterà alla fine ad alcuni importanti danni.


1. Le cellule beta del pancreas, produttrici di insulina, saranno alla lunga danneggiate, fino a che produrranno meno insulina, portandoci dritti dritti al diabete.


2. Sarà favorito lo stato infiammatorio cronico, cosa che è il preludio della maggior parte della malattie croniche.

L’infiammazione cronica infatti porta ad una serie di ricadute che creano un circolo vizioso che può andare in diverse direzioni, a seconda delle nostre caratteristiche e delle nostre criticità.

Una di queste principali ricadute è che l’infiammazione cronica intestinale che fa parte del quadro clinico, si traduce in problemi di assorbimento: alterazioni dell’assorbimento di nutrienti importanti, tipo il ferro, alcune vitamine… assorbimento di sostanze tossiche che non sono più efficacemente filtrate dagli enterociti, introduzione nel sangue di frammenti di proteine non ben digerite…

Insomma tutto ciò apre le porte a malattie degenerative e soprattutto autoimmuni, dato che il primo sistema a soffrire dell’infiammazione è proprio il sistema immunitario.


3. Ultimo ma non meno importante, l’insulina è un ormone anabolizzante: favorisce l’ingrassamento, ma anche la stanchezza, la depressione, i disturbi dell’umore e del sonno….


4. ……. …… Non ditemi che volete ancora qualcos’altro, non è forse abbastanza lungo l’elenco dei pericoli della troppa insulina?

Che è causata dalla eccessiva introduzione di carboidrati per di più sbagliati?

Cosa aspettiamo allora a cambiare il nostro stile alimentare?


SI PUO’ ABBASSARE L’INDICE GLICEMICO DI UN PASTO?


Guardate attentamente l’immagine che ho allegato.

Le due curve rappresentano l’aumento della glicemia post-prandiale in funzione del tempo.

La curva rossa descrive la glicemia dopo un pasto ad alto CARICO glicemico, quella blu a basso CARICO.

I più attenti di voi penseranno: la doc sbaglia, nel quadratino a destra in alto c’è scritto che si tratta dell’ INDICE glicemico…. Vero, perché ho scaricato l’immagine da un articolo che parla specificamente di indice glicemico.

Però questo grafico è perfettamente adatto anche per descrivere cosa accade quando parliamo di CARICO glicemico di un PASTO.


In parole povere, a noi cosa interessa sapere?

QUANTO È ALTO IL PICCO GLICEMICO in risposta al nostro pasto.

E da cosa dipende l’altezza del picco?


Dipende da due fattori:

1. dalla QUANTITA’ di carboidrati che ci sono nel PASTO (quanti grammi).

2. dalla VELOCITÀ con la quale quei carboidrati vengono trasformati in glucosio, assorbiti e poi riversati nel sangue.


Questi due fattori (quantità e qualità dei carboidrati ingeriti) ci danno un parametro chiamato CARICO GLICEMICO.


Il carico glicemico di un pasto si può facilmente calcolare moltiplicando la quantità dei carboidrati per il loro indice glicemico e dividendo il risultato per 100.

Tornando all’esempio che vi avevo proposto nel post precedente, avremo:

1. nel caso dello yogurt: CARICO GLIC. = 30 x 11= 330 : 100 = 3,3

2. nel caso delle fette biscottate CARICO GLIC. = 61 x 65 = 3965 : 100 = 39,5

Come vedete nel secondo caso il carico è ben 12 volte più alto!


Ora però guardiamo cosa sarebbe successo se avessimo spalmato le quattro fette con 30 grammi di crema di nocciole 100% che ha indice glicemico 14 e contenuto in carboidrati 6,6 ogni 100 grammi.

Il CARICO glicemico delle fette biscottate sarebbe stato 35 x 65 = 2275 : 100 = 22,75… e quello della crema di nocciole? 2.2 X 14 = 30,8 : 100 = 0,308. praticamente quasi insignificante.


E se invece della crema di nocciole avessimo aggiunto 30 grammi di burro? Sarebbe rimasto solo il carico glicemico delle fette biscottate perché il burro ha quasi zero carboidrati (0,1 gr /100 gr).


Ma la crema di nocciole o il burro avrebbero avuto anche un altro effetto interessante sulla nostra curva glicemica.

Il picco glicemico dipende, in ultima analisi, dal tempo che il glucosio impiega ad entrare nel nostro sangue.


Quindi tutto ciò che RALLENTA l’assorbimento del glucosio ABBASSA il picco glicemico.

Nell’immagine abbiamo la stessa quantità di carboidrati, ma nel caso della curva rossa essi sono stati trasformati in glucosio ed entrati in circolo velocemente, e dopo un’ora e mezza eravamo in ipoglicemia; nel caso della curva blu ci hanno impiegato quasi tre ore ad entrare in circolo, e non siamo mai andati in ipoglicemia.


E’ facile capire il perché: immaginatevi ancora una volta l’insulina-camioncino; se gli zuccheri arrivano in massa, anche i camioncini secreti dal pancreas arriveranno in massa nel sangue. In poco tempo spazzeranno via non solo gli zuccheri del pasto ma anche una certa quantità di quelli della riserva… segue ipoglicemia e quindi fame… fame di zuccheri!


Infatti l’insulina permane nel sangue per alcune ore, anche dopo aver riportato la glicemia nella norma, e tenderà a trasportare nelle cellule altro glucosio, portandoci in ipoglicemia. L’ipoglicemia a sua volta fa aumentare il rilascio degli ormoni dell’appetito (soprattutto grelina e neuropeptide y) e qui il cerchio si chiude mentre noi apriamo il frigo….

Nel caso di un assorbimento lento avremo un rilascio di insulina molto più lento, e non andremo in ipoglicemia.

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MA CHE COSA RALLENTA L’ASSORBIMENTO DEL GLUCOSIO?

1. Il pasto contenente carboidrati che contiene anche proteine e/o grassi.

Infatti sia le proteine che i grassi rallentano il processo digestivo e quindi rallentano anche il passaggio del cibo nel tenue, dove avviene l’assorbimento.

2. Il pasto che contiene anche fibre, specialmente solubili (quindi NON la crusca dei cereali che viene ri-aggiunta alle farine raffinate per vendercele come integrali! I prodotti di grano integrale sono solo leggermente più scuri, non marroni…).

Le fibre, che sono praticamente indigeribili per noi umani, rallentano non tanto la digestione quanto proprio l’assorbimento nel tenue, e anzi diminuiscono anche un po’ la percentuale di zuccheri assorbiti rispetto a quelli ingeriti, perché una parte degli amidi può restare intrappolata tra le fibre.

Da questo fatto deriva il punto seguente.

3. La giusta preparazione degli alimenti molto ricchi di amido. Lasciamo la pasta e il riso un po’ più al dente. Utilizziamo spaghetti, che hanno indice glicemico più basso. Preferiamo comunque i cereali nella loro forma integrale, ovvero in chicchi decorticati ma non perlati.

4. Se vi piace il dolce e ne siete un po’ dipendenti, riabituatevi a sapori più naturali utilizzando come dessert prodotti con indice glicemico basso e modesto carico glicemico; sempre tenendo presente che il dessert a fine pasto non deve essere un’abitudine ma una eccezione eccezionalissima se siete in fase dimagrante. Giusto per Natale e per il vostro compleanno.

Un esempio?

Una ciotola di frutti rossi con un bel ciuffetto di panna o una pallina di gelato non di frutta.

I frutti rossi (freschi o congelati) hanno un basso indice glicemico e sono ricchi di nutrienti. La panna ha basso indice glicemico e modesto contenuto di carboidrati, e ne occorre una modesta quantità.

Il gelato artigianale ha un indice glicemico modesto, poiché e costituito da una miscela di grassi proteine e carboidrati, cosa che favorisce un rilascio non tanto veloce degli zuccheri. Meglio però evitare i gelati alla frutta, spesso addizionati con sciroppi e addensanti che ne aumentano sia il carico che l’indice glicemico.


Detto questo, la vostra domanda sarà: ma perché diamine questo picco glicemico deve essere per forza il più basso possibile? Che differenza fa se la stessa quantità di glucosio viene assorbito rapidamente o lentamente?

La differenza in realtà è enorme, e dipende dal fatto che più è alto il picco più insulina rilasciamo, e più insulina rilasciamo e peggio è per noi.


MA COSA CI FA DI MALE QUESTA INSULINA?

Bella domanda, ma ci vuole un altro post.


CARICO GLICEMICO E INDICE GLICEMICO 

CHE SIGNIFICATO HANNO?


I concetti di carico glicemico e di indice glicemico sono in realtà uno strumento molto utile a coloro che vogliano intraprendere un percorso di consapevolezza in rapporto all’alimentazione, ma in particolar modo utile alle persone affette da diabete di tipo 2, a chi è abbondantemente sovrappeso, agli anziani che spesso rischiano malattie degenerative e alla numerosa popolazione affetta da malattie croniche infiammatorie e/o autoimmuni.


Prima però vorrei ricordare come “viaggiano” i carboidrati dal cibo al nostro sangue.

Noi mangiamo alcuni carboidrati in forma di molecole semplici (mono e digliceridi) contenuti in alimenti tipo frutta, latticini, zucchero da cucina, miele, sciroppi d’agave o di qualsiasi altra provenienza.

Questi zuccheri semplici sono il lattosio, il fruttosio, il saccarosio, il maltosio, le maltodestrine (citiamo solo quelli più usati).

Altri carboidrati in forma di molecole complesse ovvero amidi e fibre, che si trovano in grade quantità nei cereali e in tutti i loro derivati, in un po’ meno grande quantità nei legumi e nelle patate, in ancora minore quantità nella frutta, e in quantità assai scarse nelle verdure.


Ma attenzione!

Come facciamo a confrontare le quantità?

Ovviamente supponiamo di prendere un ugual peso di ciascun alimento (di solito di scelgono 100 grammi di prodotto) e diciamo quindi che 100 grammi di zucchine contengono meno carboidrati di 100 grammi di patate, eccetera.

Una volta ingeriti questi alimenti, i carboidrati contenuti in essi, semplici o complessi che siano, verranno digeriti e trasformati tutti in glucosio.


Essi dunque arriveranno nel sangue sotto forma di molecole di glucosio, un monomero che viene assorbito molto velocemente perché la digestione dei carboidrati che lo contengono è davvero velocissima, e altrettanto veloce è il suo “assorbimento” ovvero il passaggio dal digerente al sangue.


Dopo un pasto contenente dei carboidrati, pochi o tanti che siano, il nostro sangue nel giro di pochi minuti comincerà ad arricchirsi di glucosio, tant’è che se noi ogni minuto prelevassimo una goccia di sangue e misurassimo il suo contenuto di glucosio (la famigerata glicemia), potremmo notare che questo valore della glicemia sale di continuo, molto velocemente.

Dopo una mezz’ora circa però, la glicemia comincia a scendere.


Come mai?

Forse dopo mezz’ora non assorbiamo più glucosio?

Ehhhhh …. Magari! Non dovremmo combattere con la bilancia!


In realtà accade un’altra cosa. Il nostro pancreas, in questa mezz’ora, ha cominciato ad essere perfuso da sangue sempre più ricco di glucosio, pertanto ha incominciato a secernete insulina, ovvero quei “camioncini” di cui vi ho già parlato che raccolgono il glucosio nel sangue e lo portano alle cellule.

Dopo appunto una mezz’ora dall’arrivo delle prime molecole di glucosio oltre la quantità normale (glicemia a digiuno), i camioncini trasportatori sono più numerosi delle molecole di glucosio che entrano, e provvedono quindi a far tornare la glicemia ai suoi valori normali.

Sempre che non si tratti di un diabetico…


Questa salita seguita dalla discesa, se riportata in un grafico, descrive una stretta piramide: il PICCO GLICEMICO.

Più il picco glicemico è alto e più camioncini occorrono per abbassarlo… ovvero più insulina deve essere rilasciata.


Ma che cosa determina l’altezza del picco glicemico?

Due fattori: il CARICO GLICEMICO che abbiamo assunto col pasto e l’INDICE GLICEMICO del pasto stesso.

Non l’indice glicemico dei carboidrati però... quello del PASTO nella sua totalità.


Ma prima definiamo il carico e l’indice glicemico.

CARICO GLICEMICO = la quantità di carboidrati in rapporto al loro indice glicemico assunta col pasto tale da far aumentare la glicemia.

INDICE GLICEMICO = la velocità con la quale i carboidrati assunti col pasto innalzano la glicemia.


E’ chiaro che l’altezza del picco glicemico dipenda da QUANTI carboidrati abbiamo assunto in quel pasto, ma anche da QUALI carboidrati.

Faccio un esempio: Se a colazione mangio due vasetti di yogurt bianco da latte intero da 125 grammi, la quantità di carboidrati che ingerisco è piuttosto modesta, circa 11 grammi, e l’indice glicemico dello yogurt è minore di 30.

Se mangio 4 fette biscottate integrali (35 grammi) con 2 cucchiaini colmi mi marmellata (60 grammi) la quantità di carboidrati che ingerisco 25 + 36 ovvero 61 grammi di carboidrati; l’indice glicemico sia delle fette integrali che della marmellata è circa 60 / 65.

Nel primo caso ho un carico di 11 grammi con un indice glicemico di 30, nel secondo un carico di 61 con un indice glicemico di 65.

Avete quindi un’idea di come saranno i due picchi glicemici nei due casi?


Ma prima di lasciarvi a questa meditazione glicemica vorrei anticiparvi l’argomento del prossimo post:

SI PUO’ ABBASSARE L’INDICE GLICEMICO DI UN PASTO?

Seguitemi (se volete) sulla pagina.